per i pomeriggi in casa quando non possiamo uscire |
"Ognuno dice che c'e' un angelo
che ci protegge: io il mio non l'ho ancora trovato" Joe Pace
Charlotte, alba di un mattino qualsiasi di un giorno come tanti. Di un giorno come troppi. In periferia, dopo le rotaie, ci vivono quelli che non hanno casa. Negli Usa le rotaie spesso tagliano le città in due, in tutti i sensi: se abiti di qua vai al ristorante, se abiti di là aspetti che quelli del ristorante ti allunghino impietositi gli avanzi. E se sei quello degli avanzi di solito hai anche molta fame. Un coach leggendario del college basketball ha come massima: “Se vuoi sapere quanto un giocatore saprà darti, chiedigli da che parte della ferrovia è nato”. Amen: ritorniamo alla sceneggiatura. Al di là dei binari, dicevamo, mucchi di cartone e lamiere accolgono i pochi che vengono qua. L’odore di piscio, cattive bevute e igiene rivedibile si sente a metri di distanza. Sotto uno dei fagotti, due metri e otto di ebano purissimo si scrollano dopo la solita nottata in cui una dozzina di birre hanno preceduto una bottiglia di bourbon scadente e di vino raffermo, intramezzate da una dose di crack. Il pensiero è quello di riuscire a mettersi qualcosa sotto i denti prima di riattaccarsi ancora alla bottiglia, chè la giornata è troppo lunga per affrontarla da sobrio. La maniera più veloce è accucciarsi in un angolo di strada ed allungare le mani, quelle stesse mani che una volta facevano mirabilie con una palla a spicchi in mano. Perché fino a quando il barbone era Mr. Joe Pace, giocatore professionista della Nba, la vita era ben diversa.
Oddio, l’infanzia ricorda pesantemente il presente: nato e cresciuto a New Brunswick, periferia povera del New Jersey, dove non è che si girasse in limousine. Poi però il Signore del basket, che è più cieco della sfiga, ci ha messo del suo, donando al ragazzo un corpo da un metro da fermo quando ancora i denti da latte erano ben lontani da cadere ed un corpo scolpito per lo sport più bello del mondo. La testa? Beh, diciamo non esattamente una ciambella col buco.
A Pesaro, sponsorizzata Scavolini, viene raccontato che al di là dell’Oceano c’è un fenomeno assoluto che ha un paio di problemucci assolutamente di secondo piano, ma che in Italia farebbe benone. I marchigiani ci credono e fanno sbarcare in riva all’Adriatico quello che diventerà un personaggio mitologico nella storia della Scavolini: Joe Pace, appunto. L’impatto non è esattamente dei più semplici: il cappotto di cammello con cui si presenta in centro a Pesaro, pagato un milione delle vecchie lire, si volatilizza dopo un paio di settimane per un giro di giostra in cocaina. E poi allenamenti saltati in quantità industriali. "Piove? Non faccio atletica. Fa freddo? Mi alleno con i guanti". E le sbronze. Una marea di sbronze. Con Skansi a mangiarsi il suo carattere slavo che lo vorrebbe appiccicare al muro spiegandogli alla spicciola come funziona il mondo. Perché poi quando il ragazzo decide di allacciarsi le scarpe, vola: 21 e 10 rimbalzi di media. Da sobrio. Ma non sempre. Stoppate a fiumi, intimidazione da film. Irreale. Ma solo in campo, anzi, solo in campo quando ne ha voglia. Perché prima della salvezza spareggio con Mestre in territorio milanese, con 7.000 pesaresi che si muovono per incitare Pesaro, Joe Pace si eclissa. Skansi, avendo finito i santi a cui votarsi, prova con
Pace, il suo talento ed i suoi vizi iniziano il giro del mondo: Inghilterra, Messico, Venezuela e Argentina. Ed è proprio nei confini della pampa che sembra trovare un minimo di equilibrio. Si sposa, ha una bimba e apre un negozio, ma nel cercare di ristrutturarsi casa da solo, perché a soldi non siam messi mai benissimo, si frattura la schiena, rischiando di rimanere paralizzato. Spende tutto quello che ha nell’operazione che gli consente, con l’uso di un bastone, perlomeno di deambulare autonomamente. Il dolore è però troppo forte da sopportare e la bottiglia ridiventa unica ed inseparabile amica. La moglie, non esattamente contenta della piega che ha preso la sua vita, prende Joe ed i suoi guai e li smazza sullo zerbino. Il negozio? Intestato a lei, of course. Morale? In un attimo, Joe perde tutto.
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Racconto tratto dal libro tascabile scritto da Riccardo Romualdi con prefazione di Federico Buffa.
26piacevoli racconti in cui la pallacanestro supera l'immaginazione. 26 storie di campioni più o meno noti, alcuni dei quali transitati anche per lo stivale
(Alphonso Ford - Manute Bol) o addirittura nati e vissuti proprio in Italia.
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Qui sotto la foto di Riccardo Romualdi insieme a Federico Boffa ed alcune note contenute nel frontespizio del libro.
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Il libro pubblicato a Forlì, non trovabile nelle comuni librerie. E' possibile ordinarlo
Vi ricordiamo che Basketsiena vi propone racconti di basket più o meno lunghi per allietare un attimo dei vostri pomeriggi in casa o di relax