IL MATRIMONIO DA NON FARE

Storia d''amore fra Montanina ed Amerigo

Ritrascriviamo parte di un documento fiorentino di Carlo Carnesecchi datato luglio 1895 dal quale veniamo a conoscenza delle contrastate vicende che hanno caratterizzato il matrimonio fra la Montanina, figlia di Mario Bandini ed Eufrasia Accarigi e (soprattutto) nipote di Francesco Bandini arcivescovo di Siena, ed il cavaliere Amerigo Amerighi.
La loro contrastata storia d'amore ebbe inizio nel 1562 e ci ricorda le vicende manzoniane di Renzo e Lucia anche se questa storia ha come protagonisti un lei ed un lui di famiglie senesi altolocate.
Queste ed altre notizie riportate da Carlo Carnesecchi sulle famiglie Bandini e Amerighi si devono alla amicizia che ha legato il Carnesecchi al conte Lorenzo Grottanelli custode di certe memorie storiche.

Firenze, luglio 1895

Dal matrimonio fra i senesi Eufrasia Accarigi e Mario Bandini, nominato conte e cavaliere aurato servitore della sua patria e da ultimo seguace del partito di Francia, nacque Montanina. Quest'ultima era anche nipote di Francesco Bandini arcivescovo di Siena (1) che dopo la caduta della Repubblica di Siena visse esule dalla città natale e morì in Roma.
Montanina sposò in prime nozze il marchese Cerbone del Monte Santa Maria che fu nel 1538 impiegato dal duca Guidubaldo nella guerra detta di Camerino contro Paolo III. Nel 1556 morì senza figli il marchese Cerbone del Monte; e Montanina, trascorsi sei anni di sconsolata vedovanza, deliberò di passare ad altre nozze. Aveva essa allora ventotto anni e nel cuore di lei, sebbene non più giovanissima, l'amore conservava sempre tutta la sua potenza. Era in Siena il prode e gentile cavaliere, vedovo esso pure, Amerigo di Niccolò Amerighi. Montanina ed Amerigo, essendosi incontrati ed accesi di reciproco amore, vollero sposarsi, non dandosi pensiero delle difficoltà gravi che potevano impedire o ritardare la loro unione, con il fermo proposito di affrontarle e vincerle ad ogni costo.
Un primo tentativo di matrimonio fallì per la scomparsa del parroco che doveva celebrare le nozze, mentre una mattina, sulla fine di luglio del 1562, affrettati i preparativi e troncati gli indugi, Montanina, che segretamente si era posta d'accordo coll' amante senza il consenso della madre e dello zio arcivescovo e degli altri consanguinei, celebrò il matrimonio nella loggia della casa di detta sua madre, alla presenza di una serva fidata e di alcuni testimoni chiamati lì per lì dalla strada. Gli sposi, beati di avere raggiunto il desideratissimo intento, non si dolsero della assoluta mancanza di ogni pompa e di ogni festa.
La madre, tornata di fuori e scoperto il fatto, rimase profondamente colpita ed esacerbata; e ne fece avvisare subito il governatore di Siena Agnolo Niccolini, pregando di un sollecito ed energico rimedio. Il governatore, savio e prudente, rispose che trattandosi di cosa già avvenuta e nulla potendoci d'autorità, credette di non prendere deliberazione alcuna in proposito. Allora l'arcivescovo, venuto in cognizione di così grave avvenimento domestico, ed altamente sdegnato, commesse al suo vicario di costringere Montanina ad entrare in monastero fino a nuovo ordine, e di precettare l'Amerighi che attendesse in pace e con rassegnazione quanto avrebbe deciso il foro ecclesiastico. Ed il Governatore, ricercato per volontà dell'arcivescovo, dovette concedere, sebbene di mala voglia, che il bargello e gli altri ministri si prestassero ad ogni occorrenza secondo le volontà dell'eclesiastico.
Intanto la signora Montanina, quantunque presa con buone maniere, di entrare in convento non se la sentiva davvero; e disperata e piangente, datane prima notizia allo sposo, scappò di casa. Erano ad aspettarla la sorella del cavaliere Amerighi con altre donne parenti; la condussero in casa Amerighi, dove si consumò il matrimonio più presto che in fretta, perchè indietro non fosse possibile tornare.
Il governatore Niccolini informò di tutto il serenissimo suo padrone, cioè il duca Cosimo I de' Medici, dicendogli francamente che stimava il cavalier Amerighi; e che inoltre era venuto a sapere dalla Montanina che la contrarietà della di lei famiglia nel consentirle novelle nozze nasceva dal desiderio illecito di goderle la dote.
L'intervento del duca Cosimo I nei riguardi dell'arcivescovo dopo lunghe peripezie fece sì che tutto andasse a finir bene e prevalessero più miti consigli. E i due sposi si riunironi e vissero felici e contenti, esempio alla intera città di Siena che non mentisce il vecchio dettato Audaces fortuna iuvat.

ANNOTAZIONI:
Il Bandini a Roma ebbe una discreta iniziazione alla cultura letteraria. Si era recato al centro della cristianità sin dal 1517 al seguito dello zio cardinale, dal quale ebbe anche il secondo cognome (Piccolomini). Il medesimo lo introdusse nella vita clericale e nel 1529 gli passò, mediante resignazione, la propria archidiocesi senese, pur con tutte le riserve del caso. Fu in tale anno che il B. ricevette l'ordinazione sacerdotale, mentre ebbe la consacrazione episcopale solo nel 1538, secondo il malcostume dell'epoca, dopo aver ottenuto l'anno precedente il pieno possesso della sua diocesi in seguito alla morte del cardinale Giovanni Piccolomini. Ciononostante la vita del prelato senese non si limitò alla routine ecclesiastica. Nel 1525 si era già fatto notare nella vita culturale senese concorrendo alla fondazione dell'Accademia degli Intronati, dove ebbe lo pseudonimo di "Scaltrito" (M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia,Bologna 1929, III, p. 358). Nel 1529 fece anche la prima esperienza politico-diplomatica con la nomina ad oratore della città di Siena presso Carlo V dopo l'incoronazione imperiale a Bologna. Infine nel 1539 entrò definitivamente nella carriera degli uffici amministrativi degli Stati pontifici come governatore di Ancona.
In tali anni accentuò sempre più il suo interesse per le vicende politiche cittadine a fianco del fratello Mario, capo della fazione popolare. Nel 1546 ebbe l'incarico di svolgere una missione in favore di Siena presso Carlo V, ma dovette desistere per il mancato gradimento da parte dell'imperatore; secondo gli storici locali questa avversione impedì anche che nel 1551 il B. ottenesse il cappello cardinalizio. Uscito da Siena con i suoi amici politici, rimase esule volontario sino al 1552, per protesta contro il regime politico vigente e così fece nel 1554-55 quando, con l'assedio, si profilò la fine della libertà della città.
Nel 1556 ottenne il governatorato di Roma, poi divenne nel 1557 chierico della Camera apostolica, governatore di Viterbo nel 1559 con la vice legazione per il Patrimonio. Continuando negli incarichi curiali, nel 1560 assunse l'ufficio di vicecamerario e nel 1566 fu deputato per la fabbrica di S. Pietro. Probabilmente come esponente degli alti funzionari curiali, nel 1556 fu chiamato a far parte anche della grande commissione generale per la riforma della Chiesa nominata da Paolo IV (Concilium Tridentinum,XIII, p.334). Il 16 dic. 1575 incoronò Giovanna d'Austria granduchessa di Toscana, segnando la riconciliazione formale con i Medici. Tuttavia non rientrò mai stabilmente a Siena e trascorse gli ultimi anni della sua lunga vita tra Tivoli e Roma, dove morì nel 1588, ottenendo sepoltura in S. Pietro, in prossimità della tomba dei due pontefici del suo casato.
Nel 1570 si preoccupò di aggregare alla famiglia Bandini, che altrimenti si sarebbe estinta, un nipote del fratello Mario, che costituì poi proprio erede universale. L'originale del testamento (Siena, Bibl. comunale degli Intronati, B. V. 11) è un esempio di attaccamento ai beni terreni, data la cura minuziosissima con la quale fu redatto, compresa la ripetizione per esteso in copia autentica di tutte le bolle con le quali l'arcivescovo aveva avuto dal papa facoltà di testare.

- Tratto dagli scritti di Carlo Carnesecchi del 1895 -




Matrimonio Maria dei Medici e Enrico IV (Rubens)