Il "travaglio" del basket italiano tra fallimenti e ritiri - Basketsiena.it

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 IL CALVARIO DEL BASKET ITALIANO

Siena 19 marzo 2023 | Il calvario delle società di basket tra debiti e penalizzazioni (l'ultima una delle grandi storiche - Varese)
Negli ultimi 20 anni di campionato in Italia sono state escluse altrettante squadre. Solo alcune ritornano. Altre, spesso gloriose, spariscono per sempre. I motivI ? Un sistema economico non sostenibile. Un problema da affrontare con cambiamenti radicali di sistema. In realtà una staticità preoccupante.

  • di Giacomo Iacomino da LETTERA43 del Luglio 2020
Venti società scomparse in 20 anni. Grandi e piccole. Da Treviso a Messina, passando da Siena e Pesaro: Nord, Centro o Sud non importa. La Serie A del basket è un porto di mare dove per ogni stagione che si chiude c’è una squadra che affonda, esclusa dai campionati professionistici, soffocata dai debiti. La media, dal 1999 a oggi, è questa. Alcune spariscono definitivamente, assieme alla loro storia. Altre invece ritornano. Ma solo al termine di un lungo percorso attraverso le serie minori. Spesso travagliato. In alcuni casi, trionfale.
L’AUTORETROCESSIONE DI AVELLINO
Il prossimo (2020-21) campionato di Serie A si disputerà a 17 squadre. Dovevano essere 18, per la prima volta dopo il 2008, formula fortemente voluta dalla Federazione. E invece occorreranno i turni di riposo, che non sono mai piaciuti a nessuno. Questo perché il 9 luglio scorso, con l’accusa di evasione fiscale, la Guardia di finanza ha messo sotto sequestro preventivo 100 milioni di euro riconducibili al patron della Scandone Avellino (e dell’Avellino Calcio) Gianandrea De Cesare. Ci aveva provato, a giugno, a mettere in vendita la società. Troppo tardi. Ora, l’unico spiraglio per non vedere morire 71 anni di storia, compresi gli ultimi 19 anni di A giocati su ottimi livelli, sono i 20 mila euro che il sindaco della città, Gianluca Festa, ha messo in extremis per ottenere un posto nel campionato di Serie B. Una sorta di “autoretrocessione” che può apparire insolita, ma che va ad affiancarsi a quella già chiesta, e ottenuta, nel 2015, dalla Virtus Roma. Il motivo? Gli eccessivi costi della massima serie. La squadra capitolina, decima a fine stagione, si iscrisse in A2, salvando di fatto la già retrocessa Juve Caserta, poi fallita nel 2017, 22 anni dopo lo storico e unico scudetto di una squadra del Sud, quello del ‘91 firmato Gentile-Esposito.
AUXILIUM SPARITA, LA COPPA PURE
Tornando alla stagione appena conclusa, la retrocessione di Avellino si aggiunge a quella sul campo dell’Auxilium Torino. Sul campo si fa per dire, perché la squadra è stata penalizzata di otto punti nel finale di stagione per decisione della Fip, a causa di mancati pagamenti Inps e Irpef da parte della società che faceva capo al notaio Antonio Forni, bravo a restituire una piazza importante come quella di Torino al basket italiano, con tanto di Coppa Italia portata a casa nel 2018, un po’ meno per com’è finita: retrocessione e fallimento. Scherzo del destino, proprio il trofeo vinto l’anno scorso sarebbe “sparito” dalla sede, su segnalazione del curatore fallimentare.
I PROBLEMI DI CANTÙ E TRIESTE
Dal 1999 a oggi, sono tre i campionati chiusi senza irregolarità: il 1999-00, il 2015-16 e il 2017-18. L’ultima stagione è stata una delle peggiori per il basket italiano. In aggiunta ad Avellino e Torino, ci sono altre due squadre che hanno rischiato grosso: Cantù, abbandonata dal magnate russo Dmitry Gerasimenko che ne aveva rilevato le quote nel 2015, poi salvata in extremis dal nuovo sponsor Acqua San Bernardo, e Alma Trieste, per la quale si è temuto il peggio quando il 26 marzo scorso il patron Luigi Scavone è stato arrestato per frode al Fisco. Non è finita. Ai primi di luglio, la Comtec, organo incaricato di verificare la regolarità dei conti delle iscritte al massimo campionato, ha segnalato sei squadre “sotto osservazione”.
IL RITORNO DI FORTITUDO, TREVISO E VIRTUS
Come già accennato, a volte, ritornano. Ci ha provato Siena, dopo il fallimento della Mens Sana nel 2014 e la revoca di cinque titoli tra cui due scudetti e la radiazione dell’ex presidente Ferdinando Minucci. Ma senza fortuna. La nuova Mens Sana Basket 1871 è durata cinque anni, prima di fallire nuovamente. La Fortitudo Bologna invece ha centrato la promozione diretta nella massima serie 10 anni dopo la retrocessione sul campo del 2009, a cui seguì l’esclusione dalla A2, causa pendenze economiche, che costrinse la squadra a ripartire in un primo momento dalla Serie B d’Eccellenza, poi dai campionati dilettanti regionali. Il consorzio Universo Treviso Basket è ripartito dalla Promozione ed è di nuovo in Serie A, sette anni dopo l’abbandono della famiglia Benetton.
L’esistenza di una società cestistica dipende dai grandi mecenati disposti a sborsare milioni di euro ogni anno e soprattutto chiudere ogni stagione in perdita
C’è anche la Virtus Bologna, forse la più blasonata di tutte. Dopo aver dominato in Italia e in Europa negli Anni 90 e 2000, fu radiata dalla Federazione nel 2003 per problemi finanziari, complice il “Lodo” che porta il nome di Sani Becirovic, giocatore sloveno che denunciò il mancato pagamento degli emolumenti previsti dal suo ricco contratto. Con l’aiuto del presidente del Futurshow Claudio Sabatini, la società è riuscita a tornare nella massima serie in due anni, attraverso l’acquisto i diritti della Legadue di Castelmaggiore e un totale ripianamento dei debiti. Nei 14 anni successivi è arrivata una coppa europea, l’Eurochallenge (che non esiste più) nel 2009. Ma anche una retrocessione, la prima sul campo della sua storia, nel 2016. Trofei e successi sono tornati proprio nell’ultima stagione, con la gestione di Massimo Zanetti, patron della Segafredo: vittoria della Champions League, la terza competizione europea più importante, e firma di una leggenda come il serbo Milos Teodosic.
UN SISTEMA ECONOMICO INESISTENTE
La chiave della crisi del basket è il sistema economico che non c’è. I proprietari sono in perdita. Disse un ex presidente: «Investire soldi nella pallacanestro è come buttarli dalla finestra». L’esistenza di una società cestistica dipende dai grandi mecenati disposti a sborsare milioni di euro ogni anno e soprattutto chiudere ogni stagione in perdita. Negli Anni 90 c’erano Scavolini e Benetton. In quest’epoca c’è Luigi Brugnaro, imprenditore, proprietario dell’Umana Reyer Venezia che ha vinto due degli ultimi tre campionati e sindaco della città. Giorgio Armani ha speso 100 milioni di euro prima di poter festeggiare lo scudetto che a Milano mancava dal 1996 mentre Massimo Zanetti, Segafredo, pagherà più di 6 milioni di euro per Teodosic. Ma i sacrifici economici sono necessari anche solo per regalare alla propria città una squadra in Serie A. Un esempio su tutti: dopo 10 anni di salvezze, la Vanoli Cremona ha vinto con merito l’ultima Coppa italia ed è stata eliminata in semifinale scudetto da Venezia in cinque partite. Ciò nonostante, non parteciperà alle coppe europee: la prima rinuncia di una squadra che si è classificata seconda. Il motivo? «È necessario un ulteriore consolidamento della struttura organizzativa e sportiva, nel rispetto delle risorse disponibili». Tradotto: non siamo economicamente pronti.
LA LEGGE 91 E IL NODO DEI DIRITTI TIVÙ
Ad appesantire i bilanci delle squadre di Serie A1 sono soprattutto le spese contributive, regolate dalla Legge 91 del 1981, valida per il calcio, il ciclismo, il tennis e il basket maschile. Per molti questa legge andrebbe riformata e “alleggerita”, mantenendo il valore del professionismo ma a costi più bassi, anche in virtù dell’attuale dibattito che riguarda l’applicazione della stessa norma nello sport femminile. Poi c’è la questione delle grandi città assenti dal panorama nazionale: Firenze, Palermo e Genova sarebbero potenziali bacini di tifo e spettatori paganti. Inoltre, fino all’anno scorso Roma militava in A2, Napoli in B. Gran parte delle società non investono nel settore giovanile perché occorre tempo e denaro per vedere i primi risultati. I diritti tivù sono quasi inesistenti, fagocitati dal calcio (dove a tenere in vita le società sono proprio i contratti televisivi) e nonostante il buon lavoro di Eurosport, negli ultimi due anni in grado di offrire agli appassionati campionato e coppe a prezzi contenuti (ma che già dall’anno prossimo sarebbe in procinto di tagliare i costi, chiudendo pre e post partita). I migliori giocatori italiani giocano all’estero o nella Nba, mentre gli americani arrivano in Italia per farsi un nome, poi fuggono verso contratti più ricchi.
IL RITORNO DI ETTORE MESSINA
Tutto da buttare? Non proprio. Già detto della Virtus Bologna, c’è Sassari che ha riacceso l’entusiasmo di molti appassionati vincendo la Fiba Europe Cup con Gianmarco Pozzecco in panchina. I due scudetti di Venezia negli ultimi tre anni sono il frutto di un progetto vincente, attraverso un’identità di giocatori e di gioco costruito nel tempo. Brescia, Cremona, Trento e Varese sono realtà piccole ma solide (le ultime due fanno capo a un consorzio). Infine Milano: per tornare a vincere, Armani ha riportato in Italia Ettore Messina, per cinque anni vice allenatore Nba dopo aver vinto tutto in Europa, negli anni d’oro, con Virtus Bologna, Benetton Treviso, Cska Mosca e Real Madrid. Un nome una garanzia? Così sembra dimostrare il biennale con cui l’Olimpia ha firmato Sergio Rodriguez, un altro che in Europa ha vinto tutto quello che c’è da vincere da protagonista.  Basterà? Per entrambi c'è il fattore età. Solo fra qualche stagione avremo la risposta. Infine c’è la nazionale azzurra. Prima guidata da un allenatore apprezzato da tutti, in primis dai giocatori, come Meo Sacchetti, poi da un caricatore come Pozzecco. All'orizzonte qualche buon giocatore si intravede.

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