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JAMES DONALDSON: ALTO, GROSSO E FRAGILE
SIENA 12 agosto 2020                                                      FOTO A DESTRA: #12 James Donaldson al Trofeo dell'Alta Valle del Tevere
FONTE: Basketsiena.it | Archivio | Stefano Fini                                                 stoppata vs Banco di Roma (#10 Carlos Mina)
A tanti anni di distanza da quell’agosto del 1979  in cui James Donaldson atterrò a Fiumicino per venire a giocare nella 3A  Antonini Mens Sana, ne sono successe di cose sia nella vita di James Donaldson come in quella della Mens Sana.
All’epoca la sua partenza fu posticipata di qualche giorno perché il 16 di agosto, giorno di Palio a Siena, era anche il giorno in cui il ragazzone nato in Inghilterra ma cresciuto al sole della California festeggiava i suoi 22 anni, e lui volle festeggiarli a casa. A quell’età siamo giovani realmente ma lui lo era ancor di più, era un “ragazzone”, buono, per molti troppo buono, curioso ma pauroso, obbligato a diventare ma insicuro di diventarlo. Le sue insicurezze: un giovane con qualche problema in più della media rispetto ai coetanei. Nelle sue diversità fisiche, alto 2 metri e 18 centimetri con un peso di 125 kilogrammi, vi era per lui tutto il bene e tutto il male del mondo.  

Ma nel mondo del basket quello che conta è che Donaldson era uno dei prospetti più seguiti da tempo, il giovane aveva un fisico eccezionale, un ottimo carattere ed una buona tecnica. Era in poche parole un predestinato. Ed infatti arrivò a Siena ma l’ok venne dai Suttle SuperSonic per un stagione (utile a fare esperienza). Dopo il taglio se lo ripresero e lo buttarono subito nella “grande mischia”. Quattordici anni nella NBA con più di 8mila punti e 7mila rimbalzi.
Il suo arrivo in Toscany fece parlare, e non solo a Siena. Fu una delle attrazioni del precampionato. L’Antonini accrebbe il numero dei tornei: il Trofeo Città di Roseto a Roseto degli Abruzzi, il Trofeo Vucich a Cremona, il Trofeo dell’Alta Valle del Tevere a Città di Castello e Umbertide, il Trofeo Barcas a Livorno, quello Lovari a Lucca per finire all’abituale quadrangolare di Castelfiorentino.

Donaldson sarebbe stata la torre del campionato, le sue foto nei vari tornei furono riportate su tutte le riviste specializzate. Si parlò di sfide ad alte quote dove osano le aquile. Su Superbasket, all’indomani del Trofeo degli Abruzzi, una pagina tutta per lui e Mike Davis, indiscusso capofila degli stoppatori nella stagione precedente in lega A1. In quella notte di settembre a Roseto degli Abruzzi, si rifilarono una stoppata a testa ma quello che fece scalpore e riportato a caratteri cubitali fu la stoppata di Donaldson fatta circa 10 centimetri sotto il margine superiore del tabellone (che è a mt. 3,95). E non dimentichiamoci che questo ‘ragazzone’ quando saltava si portava dietro un fisico di 125 kilogrammi; non filiforme. Strutturato diversamente da quelli che sono stati i grandi rimbalzisti-stoppatori della Mens Sana (Comegys, Mills).  

In quel precampionato del 1979 il giovane James fu una vera attrazione per il circo mediatico nazionale come lo fu per Siena, città che ha sempre coltivato una simpatia particolare per i giganti del basket da Bovone a Chiacig.  Lo avrebbe fatto anche per il ragazzone anglo-americano? Giovani e meno giovani andarono a vederlo giocare durante gli allenamenti dato che nessuna partita fu giocata al Palasport con lui in campo. Il giudizio della tifoseria era dibattuto da diversi dubbi; più passavano le settimane e più gli anti-Donaldson accrescevano. Così “il gigante” Donaldson fu “tagliato”, rispedito al mittente. Senza mezzi termini la sentenza di Tonino Zorzi, coach dell’Antonini: “Giocatore ben dotato fisicamente ma troppo acerbo, inesperto; eccessivamente lento, alcune volte impacciato, ancora non in grado di prendersi delle responsabilità nei momenti importanti di una partita”.
Una bocciatura piena come giocatore. E per James, che aveva fatto del basket l’unica ragione della sua vita, non deve essere stata una bella cosa sentirsi dire certe cose, più un fenomeno da baraccone che un giocatore di basket.

Coach Zorzi aveva già da tempo focalizzato le sue attenzioni  nei riguardi di un altro giovane statunitense, un certo Lorenza Watson, un centro 14 centimetri più basso, leggerissimo: “questo fa per noi!!” disse il coach della Mens Sana dopo i colloqui con Dana Kirk allenatore del giocatore. Watson in Usa aveva una quotazione largamente inferiore (settima scelta col n.137 dei Golden State) a quella di Donaldson (terza scelta col n.73 dei Sonics) … ma questo a Tonino sembrava interessare poco.

Bene comunque per la Mens Sana che un consumato giocatore della Nba come Ron Behagen decidesse di finire la sua carriera nel Vecchio Continente venendo così a Siena nell’Antonini; bene perché fece disfare i bagagli a quel Lorenza Watson che grazie a questa parentesi senesi, al momento di chiedere il passaporto per venire in Italia a Siena, scoprì di chiamarsi Lawrence e non Lorenza [APRI]
 
Dei quattordici anni passati da James Donaldson nella Nba ci sarebbe da riempire una pagina di dati, numeri, game, ma per la sua storia [APRI] e per i suoi numeri [APRI] vi mandiamo alle pagine collegate; noi ci limitiamo  a proporre un video nel quale Donaldson, al top della sua maturità professionale, gioca per sei stagioni (dal 1985 al 1991) nei Dallas Mavericks. La sua è una pallacanestro senz’altro non molto dinamica, ma molto fisica dove farsi largo sotto canestro è l’obbiettivo primario. E’ uno”specialista”del pitturato, col senso della posizione, un grande intimidatore d’area in difesa, mentre in attacco mostra un gancio cielo, simile per non dire uguale a quello di Kareem Abdul-Jabbar. Gioca logicamente spalle a canestro, buon uso del piede pernio; bene anche in posizione di post-alto, prende posizione in modo forte, si impone bene sul corpo del difensore … è il classico giocatore di basket che osservandolo all’opera percepisci subito che tutto quello che fa è il frutto di un lungo lavoro; movimenti studiati, ripetuti; tanta applicazione.
I suoi avversari furono Artis Gilmore, Darryl Dawkins, Moses Malone, Truck Robinson, Maurice Lucas.
Viene detto “il gioco è bello quando dura poco”. Ma al ‘nostro’ James Donaldson “il gioco” non è certo durato poco e nel nostro caso il gioco più dura … più rende. E quanto può aver reso?
Dfficile quantificare; gli unici dati [APRI] si limitano agli ultimi sei anni (dal 1990 al 1996) e riportano un guadagno sui 4.000.000 dollari. Potremmo parlare, alla fine dei conti, probabilmente di una cifra superiore ai 10.000.000  dollari . Ma il problema di molti ex giocatori Nba non è stato farli ma mantenerli.
Gli interessi di Donaldson alla fine dei ‘giochi con la palla’ si limitarono alla famiglia, teneva molto alla sua famiglia, l’investimento affettivo; mentre l’investimento economico lo fece sulla  Donaldson Clinic, un centro di terapia fisica a Mill Creek (Seattle) aperto nel 1989 e dove l’ex giocatore, avvalendosi della professionalità di due ottimi fisioterapisti, realizza un piano aziendale che porterà negli anni la Donaldson Clinic a contare 22 dipendenti che lavoreranno in tre sedi.
Ma il 19 febbraio del 2018 la Donaldson Clinic chiude dopo 28 anni di attività; saluta dipendenti e  clienti. Casa è accaduto alla clinica e soprattutto a Donaldson, suo proprietario?

Mr. Donaldson nell’ultimo decennio inizia ad avere problemi sia sul fronte affettivo che economico ma l’inizio della fine, del tracollo globale, arriva a livello di salute: vittima di una dissezione aortica, un disturbo vascolare assai grave in cui lo strato interno della aorta, potremmo dire, si strappa. È una condizione rara, spesso genetica, e si verifica un po 'più spesso nelle persone alte. Se si rompe, la morte è solitamente rapida. James viene operato d’urgenza.
Undici ore e mezzo di intervento chirurgico al cuore sono state seguite da dieci giorni in coma farmacologico per prevenire il gonfiore nel cervello. Poi ha trascorso due mesi in terapia intensiva, seguiti da altri mesi di faticosa riabilitazione fisica ed emotiva. Donaldson riacquista col tempo il suo sorriso smagliante ma la sua fragilità offre sempre più spazio alla malinconia.
Nella foto vediamo James Donaldson in un letto sovradimensionato della clinica svedese con tubi e cerotti per monitor .

Mentre Donaldson lottava per riguadagnare la sua vitalità, altri problemi stavano arrivando. Siamo nel 2017 ed un accertamento dell'IRS verifica che Mr. Donaldson doveva delle imposte arretrate per una cifra consistente; la sua compagna, con la quale conviveva da tempo, e  suo figlio di 9 anni, si allontanarono definitivamente. In quell’uomo così grande e grosso si evidenziarono tutte le fragilità. Quel’ uomo che sembrava aver gestito positivamente la pericolosa transizione che porta dalla vita di celebrità-atleta ad una vita civile produttiva (cosa non superata da molti, da troppi), quell’uomo grande e grosso che si era persino candidato a sindaco di Suttle nel 2009, finendo terzo in un campo di otto candidati con più di 8mila voti … in quel momento della sua vita, a 62anni, era sul precipizio.

Si ripresentarono tutte le sue fragilità giovanili amplificate dagli eventi della vita. Cadde in depressione , la peggiore. La sua mente fu presa da pensieri suicidi. Fu curato, diversi giorni di sonno interrotto, diversi mesi pieni di speranze e ricadute. Poi gli occhi del grande uomo lasciarono le lacrime e ritrovarono il sorriso.

Siamo ai nostri giorni, in periodo Covid19, quando ritroviamo Donaldson, che ora gestisce una "Gift of Life Foundation", in viaggio fra India e Cina:”Lavoro in Cina – dice alla stampa americana interessata alle sue vicende – in Cina porto giocatori di basket in pensione, che allenano. Giocano con i bambini. L’attività si estende anche in India dove ci saranno meravigliose opportunità per alcuni di questi. Conosco il proprietario del Sacromento Kings, che è anche lui un indiano, e quando tornerò a Seattle , con lui, svilupperemo il progetto.
Poi aggiunge: “Per i giovani occorrono allenatori bravi ma anche esperti, quelli che sono a conoscenza delle reali problematiche. Lo sport di livello è una di quelle occupazioni in cui c'è molto stress e aspettative. I giocatori hanno questa pressione di esibirsi ai massimi livelli, questa può diventare eccessiva e fare danni che poi da ex atleta uno si porta dietro per tutta la vita.
Anche nella breve esperienza senese, non possiamo negarlo, ci sono state aspettative, stress, pressoni e giudizi pesanti.
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